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La tribù degli Akha - estremo nord del Laos

In due giorni di viaggio attraversiamo zone rurali con mercati locali. In uno di questi ho comprato un chilo di tabacco per 20 centesimi di euro, ho visto dei contadini girare con frecce e balestre fatte di bambù, poi una signora ha cucinato un cane alla brace e l’ha diviso in porzioni uguali su piatti di legno.
Arriviamo nel piccolo villaggio di Hat Sa, un minuscolo popolato di capanne e lamiere dove la tecnologia ancora non ha trovato spazio e i bimbi passano la maggior parte della giornata a giocare nella natura. Il paesaggio è incantevole, il fiume in piena sembra un enorme drago che striscia tra la giungla. Nuria è sicura di trovare una signora che ci ospiterà, consulta gli appunti segnati su un pezzo di cartone strappato da un pacchetto di carte da gioco. Non mi concede molte spiegazioni e questo velo di mistero mi piace. Mi fido.

La nostra casa sarà una capanna sulla parte alta del villaggio, con un grande terrazzo che offre una meravigliosa vista sul fiume.



Il sole finalmente decide di uscire allo scoperto dopo venti giorni di pioggia, permettendomi così di esplorare la valle incontaminata. Attraverso il fiume e dopo un’ora di cammino mi ritrovo in un villaggio inesistente sulle mappe. Le case sono in bambù e legno intrecciato, le donne indossano abiti neri e dei vistosi copricapi adornati con monete e ritagli di alluminio. È un villaggio appartenente al gruppo etnico degli Akha. I più piccoli mi rincorrono incuriositi e si bloccano dalla vergogna appena mi giro per salutarli. Questo luogo è puro e intatto, sembra d’aver fatto un salto nel passato. Solo una decina di capanne abitate e pochi maiali, galline e bufali che pascolano liberamente. Una donna ci invita a bere un liquore locale, un distillato di riso dall’elevato tasso alcolico e dal saporo disgustoso. Siamo seduti in una delle due stanze della capanna, quella per gli uomini e le faccende quotidiane, l’altra invece è riservata alle donne. Il padre della famiglia si alza in piedi dalla sua “comoda” pietra e si presenta. Mi invita a fumare con una grande pipa di bambù, inserita in un secchio di plastica. Gli mostro fiero la mia scorta di tabacco comprata al mercato locale e ne stacco un pezzo per offrirglielo.
≪Prova questo e dimmi cosa ne pensi≫, sembra mi abbia capito. Un sorriso si stampa sul viso di entrambi. Un buon modo per approcciare con una cultura è, ovviamente, immergersi nella cultura stessa. Una cosa che sembra scontata, ma non è così, la maggior parte delle persone “vivono” un’esperienza preconfezionata, spesso limitata dallo spazio e dal tempo, o peggio ancora, dai comfort. Senza rompere queste barriere vedrai tanti paesi, ma non ne scoprirai mai nessuno.
Non è il migliore degli esempi, però prestando una maggior attenzione puoi seguirmi in questo strano esempio. L’uomo di fronte a me ha riconosciuto il tabacco dal modo in cui è stato legato, dal colore e dal sapore. Ha capito che proviene da qualche remoto mercato locale e, automaticamente, che io abbia quantomeno attraversato una di queste zone. È incuriosito anche lui adesso. Gli mostro una foto del mercato con alcune donne in abiti locali. Con il suo indice grande e tozzo fa pressione sullo schermo indicando le donne, si volta a guardare la moglie nell’altra stanza e con una strana lingua dice qualcosa in merito alla foto. Conferma la sua ipotesi sul luogo di provenienza del tabacco, mi sorride e fa cenno di aspettare seduto. Esce dalla capanna e rientra con una gallina tra le mani, mi guarda di nuovo, solleva la gallina come un trofeo per mostrarla a tutti. Con una grande lama sgozza l’animale, il sangue viene giù come una fontana, poi gli amputa brutalmente le zampe e con l’arnese infilato nel becco fa pressione aiutandosi con entrambe le mani, la piccola testa si apre in due. La donna assiste la scena stringendo una ciotola che verrà presto riempita dal liquido rosso e denso. Non ne ho idea di cosa ne faranno.
Quando andiamo via la donna ci regala una foglia di banano contenente del riso con zucchero di canna. Ci darà le energie per camminare nella foresta e rientrare, o almeno è quello che dicono.

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