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Potosi, la miniera che mangia uomini, l'Inferno in Terra

Un canyon rosso fuoco mi dà il benvenuto in questa parte di Bolivia che ancora non conosco.
Con una famiglia locale condivido il prezzo di un piccolo furgone collettivo fino a Tupiza, una cittadina che sembra sbucata fuori da una pellicola far west di Sergio Leone.
La strada sale su queste vallate rocciose fino ai 4800 metri dove c’è Potosì, o come affermano orgogliosi gli abitanti, “la città più alta al mondo”. Dalla periferia riesco a vedere già le prime miniere. L’altopiano è una vera discarica a cielo aperto ed il vento forte spazza ovunque la sporcizia più leggera. Una scena davvero triste.
Potosì è una delle città più tragiche del continente, le sue miniere d’argento sono state la principale fonte di ricchezza per tutti i paesi europei e per secoli quest’argento ha invaso il nostro continente. I sud americani dicono che con tutto quello che hanno tirato fuori da queste miniere si sarebbe potuto costruire un ponte d’argento che va da Madrid, all’America Latina. Le stime parlano di oltre sedici milioni di tonnellate d’argento, escluso il contrabbando. In Spagna, infatti, è ancora utilizzata l’espressione “vale un Potosì”, per indicare qualcosa che vale una fortuna.
Gli Inca lo regalarono ai conquistadores spagnoli in segno di amicizia. Gli spagnoli, non appena appresero il valore, sterminarono tutti gli Incas, schiavizzandone una parte a lavorare senza sosta nelle miniere. Quando gli schiavi non bastavano, con lo stesso argento ne venivano comprati altri dal continente africano, costretti anche loro a lavorare al freddo degli oltre 4000 metri d’altezza. Tre continenti coinvolti, ma uno solo ne ha tratto i benefici.
Sembra non sia cambiato tanto da quegli anni, ancora oggi l’Europa si garantisce i guadagni sfruttando i produttori di materie prime nel continente africano e sudamericano. Le stime sui decessi parlano di oltre otto milioni di vittime, ma nulla è stato mai confermato, anche perché diventerebbe subito uno dei genocidi più grandi della storia umana.
I conquistadores spagnoli continuavano ad estrarre minerali preziosi senza sosta, trascorrendo i secoli successivi nel lusso sfrenato e facendo di Potosì la città più popolosa del continente con oltre duecentomila persone (all’epoca più di Londra e Parigi). Tutta questa ricchezza contribuì allo sviluppo del nostro continente, fu utilizzata per pagare i debiti, adornare i potenti palazzi e finanziare la Rivoluzione Industriale. Non di certo per il continente latino.
La Bolivia ha arricchito un intero continente senza mai aver combattuto la sua povertà. Qui, più di ogni altro luogo visitato in questo paese, la condizione è davvero straziante, triste e angosciante.
Ora sapete da dove viene tutto l’argento che brilla nelle chiese.

Voglio visitare una di queste miniere, così mi affido ad un ex minatore che oggi organizza visite guidate all’interno del Cerro Rico, quello che fu il più grande contenitore d’argento della storia. Prima di entrare passiamo al mercato dei minatori a comprare foglie di coca, alcol puro da 96 gradi e del bicarbonato. In questo mercato è legale la vendita di dinamite, la si trova sia in polvere che in candelotti già pronti da accendere. Il cibo non è un articolo conosciuto dai minatori: all’interno della montagna le temperature raggiungano anche i cinquanta gradi ed il cibo fermenterebbe nello stomaco. I minatori non mangiano nemmeno se ci restano dieci ore lì dentro, per questo si aiutano con le foglie di coca. In Bolivia è comune vedere persone con una guancia più gonfia dell’altra, sono le foglie di coca che masticano per tutta la giornata e sono in vendita praticamente ad ogni angolo.
La divinità dei minatori è un diavolo di pietra con un grande fallo eretto, è chiamato "Tio": lo Zio. Ogni minatore quando entra accende una sigaretta e la incastra nella bocca della statua, poi con l’alcol puro bagna gli arti, cominciando da destra, poi bagna il capo, il pene come segno di fertilità ed infine il suolo come offerta alla Pachamama, la Madre Terra. Questo rituale serve ad assicurarsi la protezione da qualsiasi incidente.
≪Fuori siamo tutti cristiani, ma quando siamo qui sotto siamo con il diavolo≫ dice un minatore.
La statua ricoperta di foglie di coca è inquietante, ci sono anche alcune macchie di sangue poco vicino. Sono di un capretto sacrificato, lo fanno ogni mese dato che è ritenuto di buon auspicio.
I minatori cominciano giovanissimi e lavorano anche per dieci ore al giorno, senza avere mai la certezza di uscirne vivi. L'aspettativa di vita di questi minatori è bassissima, rischiano ogni giorno di morire per le esplosioni delle dinamiti o dei crolli, per colpa di un carrello fuori binario o di cadere in un profondo cratere. Le condizioni sono pessime e i sistemi di protezione inesistenti, non hanno guanti, sono senza una mascherina, possiedono appena gli stivali e le torce fornite dalle cooperative private. Tutto il resto è a loro carico. Se tutto va bene devono poi combattere la silicosi dovuta all'inalazione di polveri contenenti biossido di silicio. L’insufficienza cardiaca sarà l’ultima stazione per chi sopravvive a quell’inferno. Oggi la media delle vittime è di 15 persone al mese... (vai allo store di Amazon per continuare la lettura)

Tags: Bolivia

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