Rinascere con il Vipassana
Mi incammino con il mio zaino sulle spalle lungo una strada dissestata, per ore non vedo altro che campi e macerie abitate, in silenzio ascolto il suono dei passi e penso a quello che mi aspetta. Mi fermo da un vecchietto che serve da bere tè su di una panca arrangiata e comincio a tirar fuori parole con lo scopo di sentirmi più leggero, gli racconto del perché mi trovo li senza nemmeno che lui me l’abbia chiesto. L’anziano non mi fila per niente e prima che io vada mi dice: ≪so benissimo perché sei qui≫.
In anticipo raggiungo l’ashram dove mi rinchiuderò, le mura sono alte e di un colore bianco sporco, un cartello di legno marcio con una frase dai colori blu dice: “Vogliamo solo migliorare la qualità della tua anima”. Sembra perfetto come benvenuto.
Come risponderesti alla domanda: ricordi un solo momento della tua vita dove la mente, il corpo e la tua anima abbiano vissuto senza nessuna distrazione? Prenditi tutto il tempo che ti serve per rispondere, anche se posso tranquillamente anticiparti che la tua risposta sarà un secco NO!
Non c'è da preoccuparsi, è la “normalità”, a quanto pare siamo sempre distratti da qualcosa. Basta pensare alla solita routine: di primo mattino controlliamo le notifiche del nostro smartphone mentre gli occhi fanno ancora fatica ad aprirsi, prepariamo sistematicamente la colazione mentre un schermo piatto comincia a sparare fuori notizie negative da tutto il mondo, ci imbottigliamo nel traffico per raggiungere il posto di lavoro accompagnati dal volume alto della musica a coprire i pensieri, sempre speranzosi che almeno questa sarà una bella giornata, pensiamo a quale oggetto materiale comprare che ci regali una gioia istantanea. Potrei continuare con un infinito elenco di distrazioni che ci tengono sempre lontano dalla nostra persona, ed è proprio non ascoltandoci che si lascia sbocciare dentro di sé l'insicurezza, alimentata poi da un sistema oscuro. Il mondo si muove veloce oggi, ma sembra girare dalla parte sbagliata.
Ora sono solo io e me stesso in una stanza larga due metri per due, un cuscino ed una minuscola finestra che mi permette di vedere il cielo e percepire il passare del tempo, senza poter leggere né scrivere, pronto per questo ritiro di dieci giorni. Pronto forse non è proprio la parola giusta. Sarò completamente isolato dal mondo esterno restando immobile nella faticosa posizione del loto, per un totale di dieci ore al giorno, nei quali bisogna rispettare digiuni da circa ventitré ore e dopo il solito pugno di riso con patate e lenticchie dovrò lavare rapidamente le stoviglie per rientrare tra le striminzite mura. Può sembrare masochista e autolesionista da un certo punto di vista, e probabilmente lo è.
Ma perché tutto questo?
Perché si!
Mi libero di tutti i miei oggetti e compilo i documenti che mi daranno l'accesso ad una delle celle.
≪Ecco la tua chiave, la numero 14≫.
Ore quattro del mattino, la campana tibetana taglia in due il silenzio della campagna, l’aria è gelida ed ho un leggero dolore alla schiena per via dello scomodo “letto” in legno. Dopo due giorni di dolori e pessima concentrazione ricevo, finalmente, l’unica istruzione dal maestro. Ricordo che ero impaziente ed eccitato, ero affascinato e incuriosito dalla stessa lunga attesa per questa dannata istruzione.
Ci siamo, i suoi occhi sono fissi nei miei, il silenzio dura meno di un minuto.