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Choquequirao: la città persa più bella di Machu Pichu - la guida completa

La confusione ritorna a mettere a soqquadro la testa, così non mi resta che partire. Continuo ad evitare il confronto con i pensieri camminando tra le montagne, questa volta da solo, in direzione Choquequirao. L’argentino Bruno mi parlò di questo sito archeologico simile al Machu Picchu, ma più duro da raggiungere, quindi meno battuto.
Il primo giorno cammino per 20 chilometri con un sole che brucia, ma i panorami sono fantastici così da ripagare la sofferenza. Una ripida discesa stretta e faticosa, resa ancora più complicata dal calore. Mi sento di svenire e la sete sembra non appagarsi mai. Ma è la sofferenza a procurare il piacere.
Alla fine della giornata mi accampo sulla riva di un fiume, filtro l’acqua, monto la tenda e faccio un bagno ghiacciato.

Al mattino riparto, affrontando la salita che è praticamente uguale alla discesa fatta il giorno pima, proprio come un’immagine riflessa allo specchio. Disidratato raggiungo Marampata, un villaggio di poche baracche a 2800 metri sul livello del mare. Scelgo di fermarmi presso una famiglia indigena, un modo per vivere un contatto reale e sostenere una “piccola impresa” locale. La capanna è piccola, di forma rettangolare, fatta di fango e paglia, con una finestra, un tavolo ed una panca di legno. La madre ha il tipico scialle andino fatto a mano, con trame geometriche e colori forti, calzamaglie viola di lana e la caratteristica tuba. Il marito è un simpatico anziano che cura le coltivazioni sulle terrazze della montagna. La figlia invece si occupa dei cavalli, è bellissima, ha il taglio degli occhi a mandorla e la pelle olivastra.
Questa domanda è stata formulata a pranzo e cena, ad ogni giorno della mia permanenza: ≪signora bella, cosa mangiamo di buono oggi?≫. La risposta è stata categoricamente sempre la stessa: ≪brodo di gallina figliolo≫. A tavola la famiglia è davvero divertente: la madre mi prende in giro dicendo che quella nel piatto non è una pizza, il marito sembra davvero interessato alla mia provenienza e le mie storie; purtroppo, è il suo unico modo di viaggiare. Mi racconta che il vero scopritore delle rovine di Choquequirao è stato suo nonno, ma nessuno gli ha mai riconosciuto questo merito. Mi parla dei nuovi progetti che secondo lui porteranno queste rovine ad essere affollate più di un mercato: il governo regionale ha progettato una funivia per raggiungere in soli 15 minuti il sito, stimando così un incremento di oltre 200 mila visitatori all’anno e di grandi numeri nelle casse degli enti del turismo. Un altro luogo che bisogna affrettarsi a visitare prima che venga rovinato.
Dopo il brodo di gallina con (zampa dell’animale al corredo), la figlia mi cura una ferita utilizzando il guscio di un uovo bollito. Nei giorni a seguire questo rimedio risulterà essere efficace.

Le rovine di Choquequirao sono la massima espressione di ingegneria edile e spirituale che abbiano potuto lasciare gli Inca. Un grande prato fa da piazza centrale con un solo albero al centro, conferendogli un fascino insolito. Le abitazioni sono fatte di pietre incastrate perfettamente, “marchio di fabbrica” di questa geniale civiltà. La parte più alta del sito era il luogo dove venivano eseguiti i sacrifici, in alto perché si è più vicini al dio Sole. Affascinanti sono anche le terrazze, dove ci sono ancora dei lama raffigurati: incastravano pietre bianche e nere così da formare un vero e proprio disegno, in questo modo venivano identificate le terrazze dove separare i lama con i cuccioli e quelli senza. Mentre per irrigare e dissetarsi avevano progettato un sistema altrettanto geniale: un lungo canale fatto di pietre della stessa dimensione; selezionate e lavorate con un’accurata levigatura, unite tra di loro fino alla cima di un’altra montagna, dove una volta c’era un ghiacciaio che forniva acqua a tutta la comunità.
Avrò visto al massimo dieci persone tra le rovine, l’energia di un luogo così deserto la si sente fino a sotto la pelle. Al Machu Picchu ci sono almeno 3000 visitatori al giorno, ma questo è un paragone senza senso.
Ritorno al villaggio per passare l’ultima serata godendomi un incredibile tramonto che s’incastra tra le punte della catena andina. Il bagliore che ne emana colora la valle di rosa. Sono momenti dove davvero mi sento grato d’esser nato.

Tags: Perù

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