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Il senso della vita è sull'Himalaya

Di primo mattino sono già all’ufficio trekking di Kathmandu. Come al solito non sono informato su niente, chiedo all’ultimo della fila, una sorridente brasiliana di nome Gabriella.
≪Ciao, ho visto che hai capito qualcosa, ti invidio tanto sai?≫. Con questa battuta ricevo in cambio tutte le informazioni di cui avevo bisogno e dei soldi per pagare il biglietto. ≪Non mi sono ancora ripreso dall’ultima notte e ho dimenticato di ritirare le banconote, dopo andiamo a bere qualcosa insieme e te li restituisco≫. Ma la cosa più bella che ricevo da quella battuta è un meraviglioso sorriso pieno di luce.
Senza rendermi conto a cosa stavo andando in contro avevo preso il ticket d’accesso per il parco Nazionale dell’Annapurna, con l’unica idea di camminare senza una precisa meta nella valle dell’Himalaya.
Al tavolo di un bar mi saluto con Gabriella: ≪Quindi ci incontreremo di nuovo a Pohkara, da lì partono i viaggiatori che intendono percorrere il circuito dell’Annapurna≫.
≪Puoi giurarci!≫ rispondo deciso, mentre appunto il nome della città sul mio taccuino. Preparo lo zaino con le scarpe da trekking, ramponi da cinque dollari e guanti, ho una nuova destinazione da raggiungere.
Pokhara è stata in passato la più importante rotta di scambio tra l’India e il Tibet, negli anni 70 invece si è riempita di hippy che lasciavano Kathmandu per un contatto diretto con la natura e un clima migliore. Oggi Pokhara è una cittadina abbastanza sviluppata rispetto al resto del paese, è il centro di partenza per trekking ed escursioni e questo ha portato in nepalesi a modificare il proprio stile in base alle esigenze del turismo. Discoteche dove potersi sfrenare, centri massaggi che coprono prostituzione e spaccio, ristoranti di lusso. In pratica uno di quei luoghi che preferisco evitare nonostante il suo meraviglioso panorama.
Non avevo mai visto delle punte così alte, ho di fronte a me una catena montuosa che si estende per decine di chilometri con picchi che superano gli 8000 metri. Una cosa che non avevo mai visto, un’altra emozione che non avevo ancora provato: il mio corpo trema e ho la sensazione d’avere una zolletta di zucchero che piano si sta sciogliendo nel cranio.
≪Hai dormito bene?≫, chiedo a Gabriella mentre ci assicuriamo di avere tutto con noi negli zaini.
≪Non proprio, sono in pensiero per il cammino da fare, non ho mai fatto un trekking così impegnativo≫.
Io, oltre al Cammino Primitivo in Spagna, non ho mai percorso lunghe distanze né tantomeno ho mai affrontato queste altezze, ma sono pronto. Comincia così questa dura avventura che metterà alla prova i miei limiti estremi, con una brasiliana e un tedesco, tra risaie e villaggi in paglia fino al calare del sole.
Una piccola stanza in legno è il primo rifugio che trovo nel buio della montagna, da qui il suono del fiume accompagna perfettamente il riposo, provo una gioia paradisiaca.
Alle sette del mattino la signora mi sveglia dicendomi che la colazione è pronta, al tavolo comune conosco altri quattro viaggiatori arrivati nel cuore della notte. Partiamo tutti insieme lungo i ponti tibetani che cambiano continuamente sponda del fiume, attraversando villaggi fermi nel tempo e terrazze di risaie.
Lo spettacolo aumenta passo dopo passo, cascate e cime innevate che si fanno spazio man mano che si sale. Queste montagne ospitano anche comunità tibetane.
Un trekking regala sempre dei momenti unici con le persone che si incontrano, ci si apre totalmente anche con il primo sconosciuto che passa, è questo lo spirito: natura, unione e condivisione. Mi sento bene, forse come non mai, il cielo è tappezzato di stelle che da questi 3000 metri sembra quasi possibile afferrarle. La natura è incantevole, è magnifica, superba. Ora ho bisogno di riposare e godermi queste emozioni.

Una semplice sosta lungo il fiume per una rinfrescata può essere davvero la cosa più bella della giornata quando c’è quest’armonia. Attraverso l’unico controllo giornaliero della polizia, alzando la testa mi ritrovo dinnanzi l’Annapurna II con i suoi 7980 metri e non posso fare altro che concedermi una pausa con questa vista. Arrivo nel pomeriggio a destinazione, doccia fredda e solito dal bath con riso, lenticchie e patate.

Lo scenario cambia di nuovo e le rocce sono di un colore più chiaro, mi ricordano le montagne nel deserto di Douz, giù nel Sahara tunisino. Nevica e spero non aumenti di intensità dato che manca circa un’ora per il villaggio di Manang. Qui sosterò due giorni per dare al corpo la possibilità di acclimatarsi, vorrei evitare di fermarmi di più, ma Xavier si incazza.
≪Sai che questo è il trekking più alto al mondo senza l’uso di ossigeno? Ti sembra un gioco? Hai bisogno di scoprire come reagisce il tuo corpo a differenti altitudini prima di riprendere il cammino, non essere incosciente≫. Come dargli torto, ieri un polacco si è accasciato all’improvviso perdendo i sensi, il suo corpo non era adatto a queste altezze, inoltre lui è molto preparato per questo cammino.
Come diavolo fanno a vivere le persone tra queste montagne?
Al risveglio c’è una bufera di neve che non lascia spazio al paesaggio, giusto il tempo di mettere qualcosa di caldo e sono già fuori per questa indimenticabile giornata verso un lago, il più alto al mondo, incastrato oltre i 4600 metri d’altezza. I muscoli non rispondono ai segnali, con estrema lentezza, in venti minuti percorro appena cento metri, stringo forte i denti mentre il vento taglia il viso; quando la pelle è ormai secca la rabbia libera un mare di lacrime incontrollabili che gelano le guance.
In quel momento stavo incoraggiando il corpo e la mente all’estremo, avevo abbattuto dei limiti raggiungendo per la prima volta un’altezza simile.
C’è uno stupa con le bandiere sacre in questa enorme distesa bianca tra le braccia dell’Himalaya, è come un pugno nell’occhio. Trovo un silenzio che renderebbe leggero qualsiasi peso della vita, mi fermo ad ascoltarlo prima di affidarmi totalmente a questo capolavoro della natura.
≪Xavi tu credi che Dio sappia dell’esistenza di questo posto?≫, mentre osservo incantato la cresta frastagliata della catena himalayana.
≪Non ne ho idea fratello, qui ci siamo solo noi e due yak pelosi≫, si asciuga il naso con i ruvidi guanti e prosegue, ≪di sicuro chi l’ha creato ci ha messo tutto l’impegno, è qualcosa di assolutamente meraviglioso, non ho mai visto niente di simile≫.
Solo le note del vento prima di riascoltare la sua voce, ≪ci siamo meritati una cena bollente, propongo di tornare al rifugio, darci una sistemata e brindare con il miele speciale che abbiamo trovato≫.
Il mio sorriso non ha bisogno di parole, la nostra sintonia è ormai solida e potente.
È buio pesto, le condizioni climatiche sono peggiorate ma lo spirito del gruppo emana un calore forte da sciogliere tutte le paure, il rifugio si è trasformato in un teatro in preda alla gioia.

≪Buongiorno Raffa, spero tu abbia dormito bene perché fuori c’è un sole meraviglioso, la strada è ancora in salita e manca sempre meno per il grande giorno, forza tirati su dal letto!≫. Xavi ogni mattina non fa altro che ricordarmi i chilometri che mancano al passo più alto.
La valle che ho di fronte è mastodontica, da ridimensionarmi al punto di sparire. Mi giro per guardare quello che sto lasciando alle spalle e non riesco a desiderare di più. Lo zaino sembra aumentare di peso ad ogni chilometro, lo sforzo porta al limite il mio corpo ed è solo il cervello in questo momento a farmi camminare, nient’altro. Gabriella non ha mai perso il suo potente sorriso, dal primo giorno è stata una spinta per tutto il gruppo. Che forza può avere un semplice sorriso!?

Guanti, cappello e doppia coperta per proteggermi da questa tempesta di neve, in un rifugio di pietra a 5000 metri sopra ogni cosa. I polmoni faticano a respirare e la mente è sottomessa da pensieri scomodi.
Dal lato apposto del rifugio una voce: ≪come si fa a tenere lontano la paura? Fuori c’è una tempesta di neve e non voglio proseguire≫.
Il suo compagno è chinato mentre fruga nello zaino, alza la testa e ribatte: ≪sei pazza Louise? Ci vogliono giorni di cammino per rientrare, un elicottero ci costerà tutti i risparmi, quindi non se ne parla proprio≫.
Louise si sta lasciando sopraffare dalla paura: ≪e se ci succede qualcosa?≫. Una domanda che mette tutti a tacere fino al momento del risveglio.

Xavi non mi risparmia nemmeno oggi: ≪fratello il grande giorno è arrivato!≫.
Il sorriso è incontenibile, l’emozione lo mette completamente a nudo liberando un fiume di lacrime, è il miglior amico che non avevo ancora incontrato, una persona meravigliosa che la vita mi ha regalato.

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