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Cacciatori di teste: i Konyak, la tribù più temuta del Nagaland

Raggiungo Longhwa avvolta da una nube umida. Qui vivono i Konya, l’ultima tribù di cacciatori di teste ancora in vita. Venivano istruiti dall’età di tre anni a “l’arte della guerra”: tecniche di caccia e d’assalto, adattamento e sopravvivenza estrema, produzione di armi da fuoco e polvere da sparo. Fino al 1940 questa tribù ha saccheggiato interi villaggi, provocando incendi e sanguinose decapitazioni. Le teste tagliate venivano esposte come trofei all'esterno della capanna, il numero metteva in mostra la potenza del guerriero. Le spedizioni di caccia alle teste erano spesso guidate e fondate su certe credenze, codice d'onore e principi di lealtà e sacrificio: la storia voleva che il teschio di una persona contenesse tutta la forza dell’essere, inoltre credevano che ogni anima liberata portasse fertilità ai campi. Catturare la testa di un nemico era anche un rito di passaggio all’età adulta. Nel 1870 i missionari iniziarono a creare scuole religiose e a convertire migliaia di persone al cristianesimo. La caccia alle teste fu bandita nel 1940 perché ritenuta pagana, il re si arrese alla chiesa cattolica nonostante i guerrieri fossero contrari.
I Konya sono facilmente distinguibili dalle altre tribù, hanno il corpo tatuato e i lobi perforati con corna di antilope. I tatuaggi sul viso si guadagnavano solo dopo aver decapitato almeno un nemico, quelli sul corpo sono ornamentali ed indicano la tribù d’appartenenza e lo status nella società. I tatuaggi venivano realizzati usando punte di palma legate tra di loro, l’inchiostro veniva estratto dalla resina di un cedro rosso. L’intero villaggio era in festa quando un guerriero della tribù veniva marcato, il corpo veniva immobilizzato dai genitori mentre un pezzo di stoffa in bocca sopprimeva le urla, intanto al centro del villaggio un maiale o una mucca veniva macellata e servita con il tradizionale riso rosso.



Il giovane indiano mi presenta come suo ospite, poi in poche righe racchiude la vita del vecchio guerriero: ≪lui è Tomwang, ha circa ottant’anni, ha due mogli e nella sua vita ha tagliato tre teste≫.
Bizzarro come biglietto da visita…


≪Fumi con noi?≫, mi chiede il giovane indiano alzando lo sguardo.
≪È oppio puro, lo produciamo nella valle birmana a pochi chilometri da qui≫.


Estrae delle strisce di cotone imbevute d’oppio liquido dal sacchetto, le mostra fiero spiaccicandomele quasi sul naso. Il liquido rilasciato viene fatto assorbire da una pianta secca, poi riposta in una carta porosa a riposare qualche minuto. Il guerriero tira fuori una pipa dalla sua tracolla mentre il giovane indiano ne ha già una pronta ai suoi piedi.
≪E tu non hai una pipa?≫. Simultaneamente mi fissano. Non mi dà il tempo di rispondere che si alza in piedi e di fretta va nell’altro lato della capanna. Ritorna con uno stinco d’antilope tra le mani, prende un grande coltello e comincia a lavorare l’osso dell’animale.
≪Ora ti faccio vedere una cosa che voi europei non sapete fare≫, intanto con rabbia affonda la lama.


≪Guarda che bravi artigiani che siamo noi!≫, scalfisce l’osso rifinendolo con una semplicità incredibile. Il guerriero ha già caricato la sua pipa, pronto per dare inizio a questa singolare cerimonia. Il giovane invece è alle prese con la pulizia interna di quella che ha appena costruito, mette a bollire l’osso in un pentolino e poi ne testa i fori soffiandoci dentro.
≪Tieni, questa è la tua pipa≫, lo guardo sbalordito, la pipa emana un odore inconfondibile, mi ricorda quello delle macellerie. La situazione è surreale, esageratamente surreale.


Ora i vecchi guerrieri e le loro mogli sono l'ultima prova tangibile di ciò che una volta era una tradizione vivente.
I Konyak sono stati gli ultimi ad accettare il cristianesimo in questo stato.

I giorni passano in questa assurda dimensione fino a quando un colpo di lucidità mi tira su.
≪Devo tornare alla vita reale≫. Quale vita reale!?


La donna che mi cucina appartiene alla famiglia della regina, quindi a sua volta è regina anche lei.
È lei che da il via ai canti religiosi locali, sembrano quasi dei lamenti...
Le capanne sono buie e gli uomini intorno al fuoco fumano oppio, la situazione è di un surreale incredibile.
Resto sbalordito e affascinato.

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